

Nell’opera di Tiziana Cera Rosco, la fotografia - il selfportrait -, è l'atto solitario di un corpo che esprime una voce, un corpo lirico, la cui l’immagine si forma nella concentrazione dell’azione performativa.
Dalla macchina fotografica al momento dello scatto (non c’è telecomando, o schermo in cui controllare quello che verrà fotografato perché l’immagine raggiunge la sua offerta nel momento in cui nessuno la guarda), c'è un tempo minimo in cui compiere e mantenere il gesto fino all’attimo prima in cui si rompe. Il rapporto col tempo minimo è quello che permette all'artista la concentrazione immediata da cui nasce la presenza.
Il set non è mai preparato, è sempre il posto vissuto, spesso lo studio, la camera, il bosco.
E anche qui, come nelle performance, ritorna il legame con il luogo in cui si agisce.
Si può parlare quindi di veri e propri atti performativi in assenza di pubblico, di immaginazione spesso caravaggesca, perché le fotografie non compiono solo un’immagine ma culminano il movimento.
E il gesto è sempre un ultimo gesto, un gesto alla fine del mondo.