Nell’opera di Tiziana Cera Rosco, la fotografia - il selfportrait -, è l'atto solitario di un corpo che esprime una voce, un corpo lirico, la cui l’immagine si forma nella concentrazione dell’azione performativa.
Sono due i modi in cui l'artista si autodocumenta, quello del tempo minimo ( fino al 2019) e quello del tempo massimo ( dal 2019 ad ora).
1.)TEMPO MINIMO Dalla macchina fotografica al momento dello scatto (non c’è telecomando, o schermo in cui controllare quello che verrà fotografato perché l’immagine raggiunge la sua offerta nel momento in cui nessuno la guarda), c'è un tempo minimo in cui compiere e mantenere il gesto fino all’attimo prima in cui si rompe. Il rapporto col tempo minimo è quello che permette all'artista la concentrazione immediata da cui nasce la presenza.
2.) TEMPO MASSIMO Non esiste l'idea di scatto fotografico inteso come Shot, ma le immagini di autodocumentazione sono tutte degli still da video, ossia riprese che riguardano la durata massima della tenuta di un respiro. Questo metodo nasce durante il Covid in cui, essendo proprio il respiro l'atto ad essere attaccato del virus, le immagini che l'artista inzia a fare sono riprese dell'atto di respirare dentro il corpo fragile come se la presenza non fosse più concentrata nella precisione di un momento ma nella dilatazione di un'immagine che è quasi immobile
Il set non è mai preparato, è sempre il posto vissuto, spesso lo studio, la camera, il bosco.
E anche qui, come nelle performance, ritorna il legame con il luogo in cui si agisce.
Si può parlare quindi di veri e propri atti performativi in assenza di pubblico, di immaginazione spesso caravaggesca, perché le fotografie non compiono solo un’immagine ma culminano il movimento.
E il gesto è sempre un ultimo gesto, un gesto alla fine del mondo.